Nell’antica Grecia le espressioni artistiche fondate sul ritmo venivano considerate tre
aspetti dello stesso fenomeno, strettamente legati l’uno all’altro: la poesia, la musica e la
danza.
Riguardo a quest’ultima, la musica popolare è spesso classificabile come musica da
ballo, intesa come sonoro sul quale basare l’uso espressivo del corpo e, quindi, motore ritmico
dei vari passi. Nell’evoluzione storica si creò assai precocemente una marcata diversità tra
danze manifestamente popolari e danze artistiche. La stratificazione della società non poté
che riflettersi nel ballo e le musiche popolari e artistiche camminarono in parallelo,
raggiungendo spesso, in entrambi i campi, vertici di eccellenza. Fu nell’ultima parte del
Medioevo che si avvertì più forte la differenza tra le due manifestazioni, che assunsero un
significato strettamente peculiare nel vivere delle classi dominanti da un lato e del popolo
minuto dall’altro.
Nelle corti, dai piccoli potentati locali a quelle dei re, certi tipi di danza si costituirono
in un rituale sociale che, col tempo, assunse valore cogente per chiunque ne facesse parte. I
grandi musicisti di corte componevano apposite musiche destinate al ballo dei dignitari, che
divennero poi, nel corso dei secoli, brani strumentali dalla forma strutturata che noi
conosciamo col nome di suite e sonata.
Le danze popolari, invece, vivissime e spesso altissime forme d’arte provenienti dal
basso della società, non trovarono mai un reale riscontro nella storiografia e nella formazione
del gusto dominante. Un importante tassello della vita delle persone, assolutamente ignorato
perché contava solo la dimensione vissuta dall’aristocrazia padrona del mondo.
Lo shock della Grande Rivoluzione di fine ‘700 non sconvolse solamente il modo di
vivere della società francese, bensì l’intima natura dell’intera convivenza umana. S’iniziò a
concepire la vita basandola sul criterio dell’utile, mentre i vecchi metri della filosofia e
dell’arte persero man mano l’importanza cruciale che avevano rivestito fino ad allora nel-
l’esistenza delle persone e assunsero un ruolo secondario di inestinguibile aspirazione alla
purezza, trasformandosi, sotterraneamente ma inesorabilmente, in intrattenimento puro.
Tuttavia, il salutare lavacro della rivoluzione produsse un importante cambiamento. Nel XIX
sec. gli stili, i tipi, le caratteristiche della musica di danza popolare entrarono nel nuovo gusto,
fecero il loro ingresso nei salotti buoni e, infine, anche nelle sale da concerto e nei teatri. Fu
uno degli aspetti più innovativi del Romanticismo la tendenza, da parte degli artisti creatori,
di appropriare alla propria tavolozza espressiva il lessico delle culture locali periferiche e del
popolo minuto. Pensare a Chopin in modo corretto, ad esempio, significa tenere conto di
quanto la mazurka dei contadini della Polonia profonda ne influenzò l’arte suprema.
In questa incredibile trasformazione della cultura musicale occidentale assunse un
ruolo centrale il walzer che, paradossalmente, proprio a Vienna, la capitale europea culla della
reazione - non a caso vi si tenne il Congresso della Restaurazione - attecchì e divenne cifra di
una società, di un modo di sentire e di vivere, probabilmente perchè l’indole del popolo
danubiano colse da subito in questa danza la propria immagine riflessa. Così essa diventò per
la gente il simbolo della felicità, del godimento, dell’ultima stagione di pura libertà. La magia
si manifesta nelle volute che i corpi dei danzatori disegnano sulla sua musica, nel vorticoso
abbandono delle dame tra le braccia dei propri cavalieri, complici le frequenti sfavillanti
toilettes delle signore e le candide divise degli ufficiali, nella fresca semplicità del suo ritmo
ternario, scandibile senza sminuirlo con un vivace zum-pa-pa.
Più in dettaglio il termine WALZER deriva dal verbo ‘walzen’ che significa tanto
"girare" quanto "trascinare (i piedi)". La coppia, strettamente legata, compie una rotazi
one completa sul proprio asse con passi striscianti, alternando l’attacco della
successione del passo una volta col piede sinistro e l’altra col destro. Il tempo a ‘tre’ derivò da
altre danze popolari tedesche progenitrici del walzer (ländler, deutscher tanz, ecc.), ma solo in
esso raffinazione, semplificazione ed efficacia ritmica raggiunsero il livello capace di renderlo
la danza preferita dalla borghesia cittadina austriaca e dall’aristocrazia dell’intera Europa.
Inoltre, non solamente per i sudditi di Francesco Giuseppe, ma anche in Francia, in
Gran Bretagna, nella giovane America e persino in Italia, il walzer manifestò appieno il
‘sentire’ più orizzontale della società ottocentesca, diventando espressione di stabilità ed
equilibrio sociale. I Viennesi adoravano il ballo e la celebrazione del Congresso della
Restaurazione fu accompagnato da una costellazione di feste, banchetti e ricevimenti imbevuti
di musica e danze. In tale occasione, storicamente fondamentale, la condivisione tra i potenti
del mondo di questa forma d’intrattenimento ne generò la successiva, immediata diffusione a
pioggia nel tessuto dei vari popoli europei.
È proprio in questa parte iniziale del XIX sec. che appaiono degli artisti che piegano
tutto questo mondo di idee e sensazioni nella direzione del peculiare gusto viennese. Josef
Lanner e la sua orchestra, ma soprattutto, poco dopo, Johann Strauss, che ne fondò una in
diretta concorrenza col primo, condussero il walzer per la prima volta verso un terreno
sconosciuto e straordinario: musica intelligente, di gusto, che coniuga alla sognante, a volte
eterea, vena melodica - assolutamente cantabile, come ognuno di noi può sperimentare
rammentandone i motivi più belli - un potente impulso ritmico che la focalizza, la vivifica e
non fa cadere il discorso nel suo progredire: uno stimolo continuo e rassicurante. Johann, che
in pochi anni rese il nome Strauss famoso nel mondo, con la sua orchestra veniva acclamato in
tutta Europa e negli Stati Uniti, compiendo tournées di grande successo. In una critica
pubblicata in Francia, il grande Hector Berlioz scrisse: "Non eravamo pienamente
consapevoli della perfezione, del fuoco, dell’intelligenza e del senso ritmico che Strauss e la
sua orchestra possiedono. Sentitemi bene: il ritmo! (...) Le possibilità di combinazioni
ritmiche sono altrettanto feconde di quelle melodiche".
Frattanto a Vienna crescevano i rampolli di Johann, tra cui brillò da subito il
primogenito, anche lui di nome Johann. Nonostante tutti i tentativi che il padre profuse per
dissuaderlo dal seguire la sua fortunata ma impervia carriera, Johann jr. esordì il 15 ottobre
1844, e la storia musicale occidentale si arricchì di uno dei compositori più smaglianti di
sempre. Violinista di raro talento come suo padre, ma più abile come direttore e compositore
assolutamente superiore, raggiunse in breve tempo la fama assoluta che oscurò tutti gli altri,
padre compreso. Johann jr. scrisse centinaia di walzer e numerose altre danze divenute
celeberrime. Per citarne solo le più famose:
Sul bel Danubio blu, diventato il manifesto di questa forma d’arte, carica di significati che la storia, più che l’autore, gli ha impresso;
Rose del sud, Vita d’artista, Vino donne e canto, Foglie del mattino.
Forse è la sua capacità di incomparabile affabulatore musicale che rende i suoi lavori così vivi ed allo stesso tempo fuori
dalla realtà. La sensazione di distacco dalla banalità, dalla noiosa realtà di tutti i giorni, è data
dalla signorilità delle melodie, dal generoso prorompere del buon umore, venato dalla
consapevolezza del reale, che però non riesce ad avere - per fortuna - il sopravvento. In
Storielle del bosco viennese Strauss jr. ci regala una pagina che, meglio di altre, nel descrivere
sensazioni ed emozioni, si arricchisce di quello straordinario senso delle cose che solo
l’adesione alla terra (direbbe Nietzsche), alla propria adorata ‘heimat’, può dare. Il passo che
ce lo conferma è, dopo il proemio, l’attacco della danza dell’introduzione da eseguirsi, secondo
la partitura originale, con la cetra, strumento a corde pizzicate tipico della musica popolare
austriaca. La sua ammaliante sonorità, la sua bellezza e malinconica delicatezza, aprono e
chiudono con incantevole eleganza lo scrigno della sezione centrale contenente il walzer vero e proprio.
Celeberrimo, ricchissimo e arrivato, questo grande musicista si volse poi al teatro, e
in poco tempo ci donò il capolavoro assoluto dell’operetta che, ineluttabilmente, si fonda su
walzer di estrema raffinatezza:
Die Fledermaus (Il pipistrello). Chi non l’ha mai visto o
ascoltato si perde un bel momento della vita. Mai buon umore, gioia di vivere, piacere dello
stare insieme, commedia e scherzo, convivono così mirabilmente in una pièce musicale.
L’amore e la bellezza ne vengono arricchiti, con un sorriso o una battuta pungente. La dote
dell’intelligenza sposa più efficacemente il riso che il pianto.
Tutti i grandi musicisti dell’Ottocento e del XX sec. furono influenzati dall’arte di
Johann Strauss jr., in particolare Chopin, Liszt, Wagner (che ne era ammaliato), Brahms (che
rimpiangeva di non essere Strauss jr.), Gounod, Ciaikovskji, Mahler. Richard Strauss,
omonimo bavarese non imparentato con la schiatta degli Strauss viennesi, trasfigurò questo
modo di ‘sentire’ il walzer nel suo altrettanto mirabile
Rosenkavalier
del 1911. Ravel amerà
perdutamente questa forma viennese, e questa sua predilezione lo indurrà a scrivere
La Valse,
supremo cimento sinfonico novecentesco.
Johann jr., coadiuvato dai fratelli Joseph ed Edward, termina il suo cammino terreno
nel 1899, quasi presago che il nuovo secolo condurrà di lì a poco il suo amato mondo alla fine.
Eppure ancora oggi, nel XXI sec., il walzer, e quelli degli Strauss in particolare, continua ad
essere per noi fonte di gioia, d’intelligente piacere pieno di sentimenti che ci fa ancora
sognare. Auspico che questa distesa di meraviglie ci accompagni dal tradizionale concerto
viennese di capodanno per tutto l’anno.